Scrivetemi a fabio_musati@yahoo.it


martedì 26 ottobre 2010

Perché l'ho scritto - note di presentazione

Avevo voglia di una storia raccontata dai muri di Milano e provincia. Una storia urbana dove al posto dei punti cardinali, del sole e delle stelle ci fossero i cartelli stradali, i manifesti pubblicitari, le insegne dei negozi e le targhe delle vie. Dove i personaggi invece di sedersi all’ombra degli alberi, si sarebbero appoggiati alle palette arancio del tram e dell’autobus oppure ai lampioni.




Peregrinando lungo quei muri alla ricerca della mia storia, mi sono reso conto di come fossero dei confini, muri di cinta che custodivano vecchie cose abbandonate, spesso fabbriche dismesse, e che tenevano fuori chi ci passava accanto, forse per nascondere che “lasciano tutto come se fossero scappati all’improvviso. Un giorno o l’altro non mi meraviglierei di trovarci dentro anche gli scheletri degli operai”, come racconta uno dei miei personaggi.

Sono arrivato fino a Sesto San Giovanni, e percorrendo il lungo viale Italia sono passato accanto ai grandi padiglioni delle acciaierie Falck, “un milione e cinquecentomila metri quadrati che ingombrano di vuoto e desolazione il nord di Sesto” e infine sono salito alla terrazza del modernissimo Centro Commerciale Vulcano ad ammirare la spianata che “ nell’ottocento fu solo aperta campagna, nel novecento il panorama più ampio della rivoluzione industriale in Italia e domani potrebbe diventare un grande parco a tema con una distesa di palme, alberghi a cinque stelle, laghetti artificiali e piste da sci di plastica sui tetti”.

Quando poi sono entrato al vecchio villaggio operaio, il Villaggio Falck, ho avuto “la sensazione di varcare una porta del tempo. Anche senza saperne niente, è palese che in quel posto tutto è come cinquant’anni fa, eppure tutto è diverso. Come se il tempo avesse dimenticato di scorrere in quel quartiere di casette incuneato tra il Concordia, l’Unione e il Vulcano”.

Ero “dentro a un set cinematografico abbandonato dove gli attori sono ancora dietro le persiane verdi delle loro finte case con giardinetto ad attendere che il regista dia il ciak per iniziare la giornata di riprese, e allora, come da copione, si sente suonare la sirena che chiama gli operai al lavoro, il lattaio tira su la serranda del negozietto di Piazza Galli, le biciclette dirigono su via Migliorini verso il Concordia o l’Unione, le mamme accompagnano i bambini alla scuola Montessori, una delle prime in Italia”.

Avevo una storia.

Poi sono arrivati i graffiti. Il Comune di Sesto “ha permesso che i graffitari usino a loro piacimento quei muri scrostati che si sono trasformati in una striscia continua di pupazzetti colorati e di scritte incomprensibili fatte di lettere intrecciate su sfondi dai colori sgargianti”.

Due elementi, uno vecchio e uno nuovo, coesistevano sul confine sottile di quei muri e raccontavano storie molto diverse che permettevano l’incrocio di più generazioni.

Sono tornato a Milano e ho approfondito il tema dei graffiti, rendendomi conto che la città è bombardata da quei segni nuovi e perlopiù incomprensibili, “alieni alle regole semplici ed efficaci della comunicazione muraria che fino a qualche anno prima hanno fatto corrispondere a un segno un significato, a una firma una marca da pubblicizzare, a una scritta magari una bestemmia o l’incitamento alla squadra del cuore, ma sempre con un senso, basso o alto che sia, e con un motivo preciso: compra, ascolta, condividi, odia, ama. Invece con i graffiti quello che sfugge è sia il senso che il motivo dell’operazione, il perché di tutto quel lavoro, la causa scatenante di quell’assalto notturno alla città”.

Da quest’incontro/scontro tra quello che c’era e quello che c’è sono nati i personaggi del romanzo.

Nessun commento:

Posta un commento